Gli immaginari mitologici e fiabeschi sono ovunque popolati da mostri che evocano l’incontro sovrannaturale tra l’umano e il selvatico. Pan è tra i mostri più eloquenti, creatura doppia, abita la contraddizione, lasciando a noi decifrare se incontrarlo sia una salvezza, tentazione cui resistere o pericolo da scampare. Uomo e capro, incarna mutazioni evolutive che infrangono i limiti assegnati alle specie, irride le tassonomie del controllo e sfida la serenità anestetica ottenuta per sedazione e separazione. Così, la sua città offusca i limiti tra natura e civiltà: non ha rimorso di urbanità, né rimpianto di eden; accoglie ogni manifestazione del vivente e trova qualità nelle frizioni delle compresenze. La città di Pan sovverte l’isomorfismo del nostro habitat, popolato solo da esseri umani e loro derivati, addomesticati per cattività prima e omologazione genetica e giuridica poi. Spalancare l’architettura verso una sensualità dilatata, creativa e consapevole, è tra gli aspetti più interessanti dei progetti nella città di Pan, così come l’assenza di istruzioni per l’uso, che rende necessaria l’intraprendenza di chi li abiti e ridimensiona argomenti come pericolo, sicurezza, paura che spesso esauriscono ogni discorso sullo spazio urbano. Il valore della città selvatica emana da questa complessità, dall’intrecciarsi tra il proibito e la sua trasgressione, dalle combinazioni imprendibili di processi ecologici e sociali autopoietici.
Metta, A. (2020). Pan. VESPER, 3, 204-205.
Pan
annalisa metta
2020-01-01
Abstract
Gli immaginari mitologici e fiabeschi sono ovunque popolati da mostri che evocano l’incontro sovrannaturale tra l’umano e il selvatico. Pan è tra i mostri più eloquenti, creatura doppia, abita la contraddizione, lasciando a noi decifrare se incontrarlo sia una salvezza, tentazione cui resistere o pericolo da scampare. Uomo e capro, incarna mutazioni evolutive che infrangono i limiti assegnati alle specie, irride le tassonomie del controllo e sfida la serenità anestetica ottenuta per sedazione e separazione. Così, la sua città offusca i limiti tra natura e civiltà: non ha rimorso di urbanità, né rimpianto di eden; accoglie ogni manifestazione del vivente e trova qualità nelle frizioni delle compresenze. La città di Pan sovverte l’isomorfismo del nostro habitat, popolato solo da esseri umani e loro derivati, addomesticati per cattività prima e omologazione genetica e giuridica poi. Spalancare l’architettura verso una sensualità dilatata, creativa e consapevole, è tra gli aspetti più interessanti dei progetti nella città di Pan, così come l’assenza di istruzioni per l’uso, che rende necessaria l’intraprendenza di chi li abiti e ridimensiona argomenti come pericolo, sicurezza, paura che spesso esauriscono ogni discorso sullo spazio urbano. Il valore della città selvatica emana da questa complessità, dall’intrecciarsi tra il proibito e la sua trasgressione, dalle combinazioni imprendibili di processi ecologici e sociali autopoietici.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.