Le correnti crisi ambientali, economiche, umanitarie, l'una concausa delle altre, annunciano l'incipiente apocalisse del mondo che abbiamo conosciuto e trovano nelle città il precipitato spaziale e politico più flagrante, trovandoci spesso sgomenti. Non siamo turbati perché l'attuale congiuntura appare catastrofica, ma perché è incontrollabile. È anche qui la radice del 'ritorno all'ordine' che permea il nostro tempo. In questo ritorno all'ordine la natura ha un ruolo decisivo, celandosi, dietro slogan ambientalisti prometeici, presupposti programmaticamente antiurbani, in fondo gli stessi della stagione inaugurale dei parchi pubblici ottocenteschi: oggi come allora, la natura consente di espiare il peccato di urbanità e redimere le città. Che sia imbrigliata in tabelle anestetiche di dati, indicatori, rapporti percentuali che la riducono a un estrattore di CO2, o che sia lasciata crescere indomita e brada nei terzi paesaggi che appagano la preoccupazione per l'altro e l'altrove delle coscienze engaged, la natura è brandita come valore totalizzante e rimedio miracoloso per riabilitare la città e, per sineddoche, salvare il mondo. Come risultato, il paesaggio si fa anodino, innocuo, consensuale, prestazionale e ovviamente 'verde', attraverso azioni e visioni prossime all'isteria. In questo testo ne consideriamo tre: la forestazione urbana globale, il sovranismo etnobotanico dell’autoctonia, i treescraper a servizio del marketing urbano.
Metta, A. (2020). Nature urbane, catastrofi e isterie. RIFLESSO, Special Issue 2020 - Architettura, 50-53.
Nature urbane, catastrofi e isterie
annalisa metta
2020-01-01
Abstract
Le correnti crisi ambientali, economiche, umanitarie, l'una concausa delle altre, annunciano l'incipiente apocalisse del mondo che abbiamo conosciuto e trovano nelle città il precipitato spaziale e politico più flagrante, trovandoci spesso sgomenti. Non siamo turbati perché l'attuale congiuntura appare catastrofica, ma perché è incontrollabile. È anche qui la radice del 'ritorno all'ordine' che permea il nostro tempo. In questo ritorno all'ordine la natura ha un ruolo decisivo, celandosi, dietro slogan ambientalisti prometeici, presupposti programmaticamente antiurbani, in fondo gli stessi della stagione inaugurale dei parchi pubblici ottocenteschi: oggi come allora, la natura consente di espiare il peccato di urbanità e redimere le città. Che sia imbrigliata in tabelle anestetiche di dati, indicatori, rapporti percentuali che la riducono a un estrattore di CO2, o che sia lasciata crescere indomita e brada nei terzi paesaggi che appagano la preoccupazione per l'altro e l'altrove delle coscienze engaged, la natura è brandita come valore totalizzante e rimedio miracoloso per riabilitare la città e, per sineddoche, salvare il mondo. Come risultato, il paesaggio si fa anodino, innocuo, consensuale, prestazionale e ovviamente 'verde', attraverso azioni e visioni prossime all'isteria. In questo testo ne consideriamo tre: la forestazione urbana globale, il sovranismo etnobotanico dell’autoctonia, i treescraper a servizio del marketing urbano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.