Sebbene ormai da tempo l’Unione europea consideri l’attività di terza missione delle Università di fondamentale importanza per la crescita, lo sviluppo economico e la coesione sociale, le prime disposizioni normative in materia di terza missione sono state introdotte in Italia in tempi relativamente recenti (Boffo & Moscati, 2015). La terza missione viene intesa come la propensione delle strutture di ateneo all’apertura verso il contesto socio-economico attraverso la valorizzazione e il trasferimento delle conoscenze (ANVUR, 2016; Boffo & Moscati, 2015). Nel rispondere ai questionari sulla valutazione della terza missione gli atenei hanno indicato numerosi ed eterogenei prodotti e attività, mostrando, da una parte, un loro forte impegno sul tema ma, da un’altra parte, la mancanza di una piena concordanza su cosa debba essere davvero incluso nelle attività di terza missione (ANVUR, 2016). In questo senso si può sostenere che, a fronte di un’accezione ampia di terza missione che deriva da una prospettiva di significato appartenente al concetto di apprendimento permanente (Carlot, Filloque, Osborne & Welsh, 2015), tuttavia, il percorso, che a livello istituzionale è stato avviato, e la relativa valutazione, che di essa è avvenuta, mettono in luce un’interpretazione della terza missione schiacciata su determinanti legate alla valorizzazione economica delle conoscenze e all’imprenditorialità accademica (ANVUR, 2016). La dimensione formativa viene ricondotta riduttivamente alla sola formazione continua (ANVUR, 2015; 2017) e non invece sul concetto di apprendimento permanente di carattere più ampio e ritenuto più adeguato per rispondere ai processi di innovazione dei sistemi universitari (Morgan-Klain, & Osborne, 2007). L’apprendimento permanente nella formazione superiore si pone infatti come nuovo topos di indubbio rilievo, nel panorama internazionale e nazionale, che sollecita un rinnovamento dei paradigmi di riferimento - in particolare per quanto attiene al sistema universitario, (Alberici, 2008; EUA, 2008; Frabboni & Pinto Minerva, 2003; Loidice, 2004; Morgan-Klain, & Osborne, 2007; Margiotta, 2014). Ciò comporta, tra l’altro, la necessità, in capo alle università, di dare risposte adeguate a potenziali utenti con domande di formazione del tutto inedite, anche rispetto a un passato recente, e in particolare di dare applicazione al principio della continuità dell’apprendimento lungo l’intero arco della vita, soprattutto rispetto alle competenze che si acquisiscono nei contesti non formali e informali di apprendimento. Lo sviluppo delle competenze - a partire dall’emersione e la messa in valore di quelle che nonostante siano definite strategiche, perché preziose e trasferibili, tuttavia spesso rimangono invisibili - costituisce un fattore cruciale per mettere nelle condizione gli individui di rispondere in modo significativo alle continue sfide personali, sociali e professionali, cui sono sottoposti, con il rischio di essere coinvolti entro dinamiche di marginalizzazione e di esclusione (Di Rienzo, 2014). Le competenze strategiche sono risorse chiave per ogni individuo in una società basata sulla conoscenza (UE, 2018). Esse costituiscono un valore aggiunto per l’occupazione, la coesione sociale e la cittadinanza attiva, poiché offrono flessibilità e capacità di adattamento, soddisfazione e motivazione e dovrebbero essere acquisite da tutti, sono necessarie per la realizzazione e lo sviluppo personali e l’inclusione sociale (Alessandrini & De Natale, 2015).
DI RIENZO, P. (2019). Formazione e processi innovativi sostenibili nei contesti non formali e informali di apprendimento: uno studio sulle competenze strategiche nel Forum Nazionale del Terzo Settore. In G.C.&.F.P. V. Carbone (a cura di), Giornata della ricerca 2019 del Dipartimento di Scienze della Formazione (pp. 61-66). Roma : RomaTrE-Press.
Formazione e processi innovativi sostenibili nei contesti non formali e informali di apprendimento: uno studio sulle competenze strategiche nel Forum Nazionale del Terzo Settore
Paolo Di Rienzo
2019-01-01
Abstract
Sebbene ormai da tempo l’Unione europea consideri l’attività di terza missione delle Università di fondamentale importanza per la crescita, lo sviluppo economico e la coesione sociale, le prime disposizioni normative in materia di terza missione sono state introdotte in Italia in tempi relativamente recenti (Boffo & Moscati, 2015). La terza missione viene intesa come la propensione delle strutture di ateneo all’apertura verso il contesto socio-economico attraverso la valorizzazione e il trasferimento delle conoscenze (ANVUR, 2016; Boffo & Moscati, 2015). Nel rispondere ai questionari sulla valutazione della terza missione gli atenei hanno indicato numerosi ed eterogenei prodotti e attività, mostrando, da una parte, un loro forte impegno sul tema ma, da un’altra parte, la mancanza di una piena concordanza su cosa debba essere davvero incluso nelle attività di terza missione (ANVUR, 2016). In questo senso si può sostenere che, a fronte di un’accezione ampia di terza missione che deriva da una prospettiva di significato appartenente al concetto di apprendimento permanente (Carlot, Filloque, Osborne & Welsh, 2015), tuttavia, il percorso, che a livello istituzionale è stato avviato, e la relativa valutazione, che di essa è avvenuta, mettono in luce un’interpretazione della terza missione schiacciata su determinanti legate alla valorizzazione economica delle conoscenze e all’imprenditorialità accademica (ANVUR, 2016). La dimensione formativa viene ricondotta riduttivamente alla sola formazione continua (ANVUR, 2015; 2017) e non invece sul concetto di apprendimento permanente di carattere più ampio e ritenuto più adeguato per rispondere ai processi di innovazione dei sistemi universitari (Morgan-Klain, & Osborne, 2007). L’apprendimento permanente nella formazione superiore si pone infatti come nuovo topos di indubbio rilievo, nel panorama internazionale e nazionale, che sollecita un rinnovamento dei paradigmi di riferimento - in particolare per quanto attiene al sistema universitario, (Alberici, 2008; EUA, 2008; Frabboni & Pinto Minerva, 2003; Loidice, 2004; Morgan-Klain, & Osborne, 2007; Margiotta, 2014). Ciò comporta, tra l’altro, la necessità, in capo alle università, di dare risposte adeguate a potenziali utenti con domande di formazione del tutto inedite, anche rispetto a un passato recente, e in particolare di dare applicazione al principio della continuità dell’apprendimento lungo l’intero arco della vita, soprattutto rispetto alle competenze che si acquisiscono nei contesti non formali e informali di apprendimento. Lo sviluppo delle competenze - a partire dall’emersione e la messa in valore di quelle che nonostante siano definite strategiche, perché preziose e trasferibili, tuttavia spesso rimangono invisibili - costituisce un fattore cruciale per mettere nelle condizione gli individui di rispondere in modo significativo alle continue sfide personali, sociali e professionali, cui sono sottoposti, con il rischio di essere coinvolti entro dinamiche di marginalizzazione e di esclusione (Di Rienzo, 2014). Le competenze strategiche sono risorse chiave per ogni individuo in una società basata sulla conoscenza (UE, 2018). Esse costituiscono un valore aggiunto per l’occupazione, la coesione sociale e la cittadinanza attiva, poiché offrono flessibilità e capacità di adattamento, soddisfazione e motivazione e dovrebbero essere acquisite da tutti, sono necessarie per la realizzazione e lo sviluppo personali e l’inclusione sociale (Alessandrini & De Natale, 2015).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.