Nel 1844 Schumann fece recensire sulla «Neue Zeitschrift für Musik» gli Studi op. 15 di Golinelli, da questi dedicati a Ferdinand Hiller, buon amico di Schumann, che il compositore bolognese aveva conosciuto nel 1842. L’anonimo redattore - probabilmente lo stesso Schumann - ebbe toni entusiastici nel far notare il valore delle composizioni, reso più grande dal generale ristagno della musica pianistica, e strumentale in genere, nell’Italia dell’epoca: gli Studi sono da collocarsi sullo stesso piano di quelli dei migliori Tedeschi contemporanei, ed hanno quei caratteri di spiccata individualità e tuttavia di coesione ciclica che sono, nel pensiero schumanniano, i migliori requisiti di una raccolta pianistica. Non così suonavano le recensioni dedicate a Döhler: il rinomato virtuoso veniva considerato un compositore troppo velleitario e, per giunta, di scarsissima qualità; meglio per tutti che si fosse dedicato a generi di basso rango come le fantasie su temi d’opera, peraltro diffusissime nell’Italia del tempo. Alla luce di siffatte considerazioni potrebbe esser interessante esaminare nel dettaglio musicale alcune delle composizioni di questi due autori in relazione alle conquiste compositive ed all’estetica del pianismo europeo. Negli Studi op. 15 di Golinelli in quale misura sono oggettivamente rintracciabili i caratteri evidenziati dalla recensione tedesca? Cosa, in essi, potrebbe esser particolarmente piaciuto a Schumann e colleghi? Un esempio potrebbe essere la contrapposizione ritmica del sesto studio, dove la mano sinistra suona in 3/4 e la destra di fatto in 6/8, che non poteva non passare inosservata. Anche l’architettura formale dei Preludi op. 69, del 1852, ventiquattro piccoli brani articolati in un ciclo unitario dove si evidenzia più che mai l’esperienza europea di Golinelli, avrebbe meritato un elogio per quanto concerne la cultura compositiva che la sottende. Ciò che non piaceva a Schumann di Döhler era invece l’appartenere appieno a quel filone “europeo” di pianisti scintillanti da concerto, le cui composizioni sono tutta apparenza e poca o niente sostanza, aggravato inoltre dall’essersi infiacchito, lui tedesco d’origine, nella culla di ogni debolezza, cioè l’Italia. Anche in questo caso la lettura di alcuni esempi musicali tratti da opere come il Notturno op. 24, gli Studi di Concerto op. 30, i Notturni op. 52, le Romanze senza parole op. 57 oppure i Valses brillantes op. 58, ed il loro confronto con le composizioni di Golinelli, potrebbe esser utile per gettar luce sullo stile di due tra i maggiori compositori italiani per pianoforte di metà Ottocento.

Arfini, M.T. (2001). La musica italiana per pianoforte di metà Ottocento alla luce del giudizio di Schumann. In Schumann, Brahms e l’Italia (pp. 59-68). Roma : Accademia Nazionale dei Lincei.

La musica italiana per pianoforte di metà Ottocento alla luce del giudizio di Schumann

Arfini
2001-01-01

Abstract

Nel 1844 Schumann fece recensire sulla «Neue Zeitschrift für Musik» gli Studi op. 15 di Golinelli, da questi dedicati a Ferdinand Hiller, buon amico di Schumann, che il compositore bolognese aveva conosciuto nel 1842. L’anonimo redattore - probabilmente lo stesso Schumann - ebbe toni entusiastici nel far notare il valore delle composizioni, reso più grande dal generale ristagno della musica pianistica, e strumentale in genere, nell’Italia dell’epoca: gli Studi sono da collocarsi sullo stesso piano di quelli dei migliori Tedeschi contemporanei, ed hanno quei caratteri di spiccata individualità e tuttavia di coesione ciclica che sono, nel pensiero schumanniano, i migliori requisiti di una raccolta pianistica. Non così suonavano le recensioni dedicate a Döhler: il rinomato virtuoso veniva considerato un compositore troppo velleitario e, per giunta, di scarsissima qualità; meglio per tutti che si fosse dedicato a generi di basso rango come le fantasie su temi d’opera, peraltro diffusissime nell’Italia del tempo. Alla luce di siffatte considerazioni potrebbe esser interessante esaminare nel dettaglio musicale alcune delle composizioni di questi due autori in relazione alle conquiste compositive ed all’estetica del pianismo europeo. Negli Studi op. 15 di Golinelli in quale misura sono oggettivamente rintracciabili i caratteri evidenziati dalla recensione tedesca? Cosa, in essi, potrebbe esser particolarmente piaciuto a Schumann e colleghi? Un esempio potrebbe essere la contrapposizione ritmica del sesto studio, dove la mano sinistra suona in 3/4 e la destra di fatto in 6/8, che non poteva non passare inosservata. Anche l’architettura formale dei Preludi op. 69, del 1852, ventiquattro piccoli brani articolati in un ciclo unitario dove si evidenzia più che mai l’esperienza europea di Golinelli, avrebbe meritato un elogio per quanto concerne la cultura compositiva che la sottende. Ciò che non piaceva a Schumann di Döhler era invece l’appartenere appieno a quel filone “europeo” di pianisti scintillanti da concerto, le cui composizioni sono tutta apparenza e poca o niente sostanza, aggravato inoltre dall’essersi infiacchito, lui tedesco d’origine, nella culla di ogni debolezza, cioè l’Italia. Anche in questo caso la lettura di alcuni esempi musicali tratti da opere come il Notturno op. 24, gli Studi di Concerto op. 30, i Notturni op. 52, le Romanze senza parole op. 57 oppure i Valses brillantes op. 58, ed il loro confronto con le composizioni di Golinelli, potrebbe esser utile per gettar luce sullo stile di due tra i maggiori compositori italiani per pianoforte di metà Ottocento.
2001
Arfini, M.T. (2001). La musica italiana per pianoforte di metà Ottocento alla luce del giudizio di Schumann. In Schumann, Brahms e l’Italia (pp. 59-68). Roma : Accademia Nazionale dei Lincei.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/377613
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