This paper reconstructs the controversial debate that took place at an annual meeting of the American Anthropological Association and the Canadian Anthropological Association in Toronto on 20-23 November. In the run-up to the event, the two associations cancelled a previously accepted panel proposed by five scholars, three American, one Canadian and one Spanish, who are self-described gender-critical feminists. They argued that only the category of sex, not gender, was adequate to define 'real women' to be studied in the field. The article also reconstructs the polarisation of reactions to this cancellation: on the one hand, those in favour of the panelists who denounced the censorship in terms of freedom of expression; on the other, those from the two associations who justified the suppression in order to protect, among others, transgender people who felt threatened by the events that had already involved these panelists, who were considered racist, sexist and anti-scientific. The article concludes with some observations. The first concerns the use of the term feminism in anthropology, which, given what has happened, should always be adjectival, given the risks of its political instrumentalisation at this historical moment. The second concerns the dangers of visions based on a rigid sexual binarism. These visions have been historically refuted by both biological and social sciences, especially by gender anthropology. Finally, rejecting all essentialisms, the article highlights how a critical and political anthropology and ethnography of gender that incorporates feminist and queer positions on sexualities and studies power asymmetries constitutes a clear departure from an anthropology that critiques and denies gender ( gender-critical anthropology ).

L’articolo ricostruisce la recente controversia nata in occasione della conferenza annuale dell’American Anthropological Association (AAA) e della Canadian Anthropology Society (CASCA) tenutosi a Toronto nel novembre del 2023. Nell’imminenza dell’evento le due associazioni avevano annullato un panel, accettato in precedenza, proposto da cinque studiose, tre statunitensi, una canadese e una spagnola, autodefinitesi femministe gender critical nel quale affermavano che solo un uso della categoria sesso e non quella di genere è da ritenersi adeguato a definire le «vere donne» nella ricerca sul campo. L’articolo ricostruisce anche la polarizzazione delle reazioni a questa cancellazione: da una parte quelle a favore delle paneliste che denunciavano una censura in relazione alla libertà di espressione; dall’altra quelle delle due associazioni che motivavano la soppressione, in realtà, per tutelare, fra le altre, le persone transgender che si erano sentite minacciate anche in considerazione delle vicende che avevano già investito le suddette ritenute razziste, sessiste e portatrici di tesi antiscientifiche. L’articolo riflette, infine, su più punti. Il primo sull’uso del termine femminismo in antropologia, che andrebbe, stante queste vicende, sempre aggettivato, in considerazione dei rischi di una sua strumentalizzazione politica in questo particolare momento storico. Il secondo sui pericoli di visioni fondate sul rigido binarismo sessuale già storicamente confutato sia dalle scienze biologiche che dalle scienze sociali, in primis l’antropologia di genere. Infine, respingendo tutti gli essenzialismi l’articolo evidenzia come un’antropologia, e un’etnografia, critica e politica di genere (critical and political anthropology of gender) che incorpori il posizionamento femminista e queer sulle sessualità, studiando le asimmetrie di potere, costituisca una netta presa di distanza da un’antropologia che critica e nega il genere (critical anthropology on gender).

Fusaschi, M. (2024). L’antropologia femminista nella tormenta. Perché il genere rimane una categoria analitica necessaria. CONDITION HUMAINE - CONDITIONS POLITIQUES.

L’antropologia femminista nella tormenta. Perché il genere rimane una categoria analitica necessaria

fusaschi
2024-01-01

Abstract

This paper reconstructs the controversial debate that took place at an annual meeting of the American Anthropological Association and the Canadian Anthropological Association in Toronto on 20-23 November. In the run-up to the event, the two associations cancelled a previously accepted panel proposed by five scholars, three American, one Canadian and one Spanish, who are self-described gender-critical feminists. They argued that only the category of sex, not gender, was adequate to define 'real women' to be studied in the field. The article also reconstructs the polarisation of reactions to this cancellation: on the one hand, those in favour of the panelists who denounced the censorship in terms of freedom of expression; on the other, those from the two associations who justified the suppression in order to protect, among others, transgender people who felt threatened by the events that had already involved these panelists, who were considered racist, sexist and anti-scientific. The article concludes with some observations. The first concerns the use of the term feminism in anthropology, which, given what has happened, should always be adjectival, given the risks of its political instrumentalisation at this historical moment. The second concerns the dangers of visions based on a rigid sexual binarism. These visions have been historically refuted by both biological and social sciences, especially by gender anthropology. Finally, rejecting all essentialisms, the article highlights how a critical and political anthropology and ethnography of gender that incorporates feminist and queer positions on sexualities and studies power asymmetries constitutes a clear departure from an anthropology that critiques and denies gender ( gender-critical anthropology ).
2024
L’articolo ricostruisce la recente controversia nata in occasione della conferenza annuale dell’American Anthropological Association (AAA) e della Canadian Anthropology Society (CASCA) tenutosi a Toronto nel novembre del 2023. Nell’imminenza dell’evento le due associazioni avevano annullato un panel, accettato in precedenza, proposto da cinque studiose, tre statunitensi, una canadese e una spagnola, autodefinitesi femministe gender critical nel quale affermavano che solo un uso della categoria sesso e non quella di genere è da ritenersi adeguato a definire le «vere donne» nella ricerca sul campo. L’articolo ricostruisce anche la polarizzazione delle reazioni a questa cancellazione: da una parte quelle a favore delle paneliste che denunciavano una censura in relazione alla libertà di espressione; dall’altra quelle delle due associazioni che motivavano la soppressione, in realtà, per tutelare, fra le altre, le persone transgender che si erano sentite minacciate anche in considerazione delle vicende che avevano già investito le suddette ritenute razziste, sessiste e portatrici di tesi antiscientifiche. L’articolo riflette, infine, su più punti. Il primo sull’uso del termine femminismo in antropologia, che andrebbe, stante queste vicende, sempre aggettivato, in considerazione dei rischi di una sua strumentalizzazione politica in questo particolare momento storico. Il secondo sui pericoli di visioni fondate sul rigido binarismo sessuale già storicamente confutato sia dalle scienze biologiche che dalle scienze sociali, in primis l’antropologia di genere. Infine, respingendo tutti gli essenzialismi l’articolo evidenzia come un’antropologia, e un’etnografia, critica e politica di genere (critical and political anthropology of gender) che incorpori il posizionamento femminista e queer sulle sessualità, studiando le asimmetrie di potere, costituisca una netta presa di distanza da un’antropologia che critica e nega il genere (critical anthropology on gender).
Fusaschi, M. (2024). L’antropologia femminista nella tormenta. Perché il genere rimane una categoria analitica necessaria. CONDITION HUMAINE - CONDITIONS POLITIQUES.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/480348
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