Dalla lettura delle interviste dell’epoca, ma anche da quella delle lettere con Marta Abba, prendono forma le tessere di un percorso compositivo in continuo divenire, sottoposto com’è ad un restyling profondo e sistematico. Nell’ultima fase di vita, Pirandello vuole imporsi ora come mitografo, come un innovatore autorizzato a rivendicare la propria originalità di artista perché sagace rilettore del mito in chiave contemporanea. Il mito religioso ha la necessità di innestarsi sul “senso” di un significante cui possa legarsi sul piano analogico, così da poterne ampliare la portata dei significati: «la solidificazione del mito ha bisogno dunque di un’immagine che sia motivata, di un segno che sia in qualche modo legato alla cifra semantica da veicolare». Il riferimento a Lazzaro (il secondo tassello della trilogia del mito) costituisce il sostrato semiotico di cui il drammaturgo si serve per dare vita al suo mito sospeso tra trascendenza e misticismo: ne scaturisce una significazione fortemente connotata sul piano simbolista. La metafora di Lazzaro è quella di chi perde la propria fede, dogmatica e aprioristica quanto si vuole, dopo aver constatato il sopravvento dell’intervento umano e dei condizionamenti sociali: una semplice puntura può invertire il corso degli eventi stabilito dall’alto, può restituire la vita perduta in maniera improvvisa e violenta, far crollare le certezze (poche e malsicure) di chi ha creduto nell’ineluttabilità del destino e nella assoluta arbitrarietà dell’iniziativa umana.

Lombardinilo, A. (2010). Pirandello e il mito della religione. Note interpretative su "Lazzaro". PIRANDELLIANA, 4/2010, 103-117.

Pirandello e il mito della religione. Note interpretative su "Lazzaro"

LOMBARDINILO, ANDREA
2010-01-01

Abstract

Dalla lettura delle interviste dell’epoca, ma anche da quella delle lettere con Marta Abba, prendono forma le tessere di un percorso compositivo in continuo divenire, sottoposto com’è ad un restyling profondo e sistematico. Nell’ultima fase di vita, Pirandello vuole imporsi ora come mitografo, come un innovatore autorizzato a rivendicare la propria originalità di artista perché sagace rilettore del mito in chiave contemporanea. Il mito religioso ha la necessità di innestarsi sul “senso” di un significante cui possa legarsi sul piano analogico, così da poterne ampliare la portata dei significati: «la solidificazione del mito ha bisogno dunque di un’immagine che sia motivata, di un segno che sia in qualche modo legato alla cifra semantica da veicolare». Il riferimento a Lazzaro (il secondo tassello della trilogia del mito) costituisce il sostrato semiotico di cui il drammaturgo si serve per dare vita al suo mito sospeso tra trascendenza e misticismo: ne scaturisce una significazione fortemente connotata sul piano simbolista. La metafora di Lazzaro è quella di chi perde la propria fede, dogmatica e aprioristica quanto si vuole, dopo aver constatato il sopravvento dell’intervento umano e dei condizionamenti sociali: una semplice puntura può invertire il corso degli eventi stabilito dall’alto, può restituire la vita perduta in maniera improvvisa e violenta, far crollare le certezze (poche e malsicure) di chi ha creduto nell’ineluttabilità del destino e nella assoluta arbitrarietà dell’iniziativa umana.
2010
Lombardinilo, A. (2010). Pirandello e il mito della religione. Note interpretative su "Lazzaro". PIRANDELLIANA, 4/2010, 103-117.
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