Con un taglio etnografico e ripercorrendo la storia di una rifugiata, l’articolo guarda all’interazione fra memoria della violenza, strutture del tempo, poetiche del dicibile e della reticenza per riflettere su ciò che accade a questi caratteri della memoria quando incontrano le strutture burocratiche e umanitarie dell’asilo. Queste strutture usano canoni specifici per tracciare l’esperienza e codificare l’avvenuto, limitandosi a considerare la violazione come un evento, anziché considerare i modi con cui le persone colpite si rapportano a tali accadimenti e da cui la loro soggettività è stata trasformata. Al pari di molte altre storie di rifugiate, la storia riportata mostra come la violazione sia un accumulo di sofferenze che gira dentro e fuori a vincoli e classificazioni sociali che il linguaggio delle strutture statali e umanitarie fatica a decodificare. Allo sguardo di queste strutture rimane altresì invisibile la capacità con cui questa rifugiata dà indizi sulle matrici sociali della testimonianza e inserisce le sue esperienze nelle dimensioni del passato e dell’avvenire. L’articolo è anche un’occasione per riflettere sul riconoscimento pubblico, dato o negato, alle memorie dell’afflizione legate allo statuto politico dell’asilo. Through the story of a refugee woman, this article reflects on the interplay between the memory of violence, the structures of time, and the poetics of the expressible and the reticence. What happens to these memory features when they encounter the bureaucratic and humanitarian apparatuses of asylum? These apparatuses use specific canons to trace the experience and codify the live’s events by validating mainly the violation or by posing the attention mainly on the violation. Tracing how refugee women relate to their own violation experience/trajectories and subjectivity, the article challenges the bureaucratic multiple encounters, showing how this violation is instead an accumulation of suffering. Like many other refugee stories, the story presented shows how the accumulation of suffering navigates inside and outside the social bonds and classifications that the language of state and humanitarian apparatuses struggle to code. In the eyes of these apparatuses, her ability negotiates to the social matrices of testimony and her attempt to contextualise her experience within the dimensions of the past and the future also remains invisible. The article is also an opportunity to reflect on the public recognition (given or denied) of memories of affliction related to political asylum.
Pinelli, B. (2024). Accumulare afflizione. Il tempo, la testimonianza e l’indicibile. ARCHIVIO ANTROPOLOGICO MEDITERRANEO, 26(2), 1-22 [10.4000/12xyy].
Accumulare afflizione. Il tempo, la testimonianza e l’indicibile
Pinelli, Barbara
2024-01-01
Abstract
Con un taglio etnografico e ripercorrendo la storia di una rifugiata, l’articolo guarda all’interazione fra memoria della violenza, strutture del tempo, poetiche del dicibile e della reticenza per riflettere su ciò che accade a questi caratteri della memoria quando incontrano le strutture burocratiche e umanitarie dell’asilo. Queste strutture usano canoni specifici per tracciare l’esperienza e codificare l’avvenuto, limitandosi a considerare la violazione come un evento, anziché considerare i modi con cui le persone colpite si rapportano a tali accadimenti e da cui la loro soggettività è stata trasformata. Al pari di molte altre storie di rifugiate, la storia riportata mostra come la violazione sia un accumulo di sofferenze che gira dentro e fuori a vincoli e classificazioni sociali che il linguaggio delle strutture statali e umanitarie fatica a decodificare. Allo sguardo di queste strutture rimane altresì invisibile la capacità con cui questa rifugiata dà indizi sulle matrici sociali della testimonianza e inserisce le sue esperienze nelle dimensioni del passato e dell’avvenire. L’articolo è anche un’occasione per riflettere sul riconoscimento pubblico, dato o negato, alle memorie dell’afflizione legate allo statuto politico dell’asilo. Through the story of a refugee woman, this article reflects on the interplay between the memory of violence, the structures of time, and the poetics of the expressible and the reticence. What happens to these memory features when they encounter the bureaucratic and humanitarian apparatuses of asylum? These apparatuses use specific canons to trace the experience and codify the live’s events by validating mainly the violation or by posing the attention mainly on the violation. Tracing how refugee women relate to their own violation experience/trajectories and subjectivity, the article challenges the bureaucratic multiple encounters, showing how this violation is instead an accumulation of suffering. Like many other refugee stories, the story presented shows how the accumulation of suffering navigates inside and outside the social bonds and classifications that the language of state and humanitarian apparatuses struggle to code. In the eyes of these apparatuses, her ability negotiates to the social matrices of testimony and her attempt to contextualise her experience within the dimensions of the past and the future also remains invisible. The article is also an opportunity to reflect on the public recognition (given or denied) of memories of affliction related to political asylum.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.