Il presente lavoro intende offrire una panoramica sull’evoluzione e l’estensione del golden power e, più in generale, sugli strumenti di screening degli investimenti esteri diretti in un’ottica interna ed europea. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad una continua estensione di tale strumento e l’atteggiamento dell’Unione europea e delle sue Istituzioni è notevolmente mutato. Da una posizione di iniziale contrasto, come noto, si è assistito ad un progressivo allineamento, culminato nel Regolamento del 2019 e nella Comunicazione del 2022 che hanno sollecitato l’istituzione di nuovi strumenti di screening per i Paesi che ne erano sprovvisti. Tutto ciò, perlomeno fino alla più recente sentenza della Corte di giustizia, resa nella causa C-106/22, sull’ambito di applicazione del Regolamento UE 2019/452. In particolare, sul rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, sollevato dalla Corte di Budapest, la Corte di giustizia ha avuto modo di ricordare agli Stati membri l’esistenza di limiti alla loro discrezionalità in materia di screening degli investimenti, al fine di tutelare le libertà fondamentali garantite dai Trattati. Si avrà modo di esaminare come eventuali restrizioni alle libertà europee debbono essere interpretate restrittivamente e possono essere giustificate unicamente da esigenze di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Non si ha modo di sapere se questa sentenza costituisca un caso isolato o se, in prospettiva futura, rappresenti un primo revirement dell’Unione nei confronti degli strumenti di screening introdotti dagli Stati membri.
Visconti, P.G. (2024). Golden power e libertà europee: verso una restrizione delle normative sul controllo degli investimenti esteri?. IL DIRITTO DELL'ECONOMIA(2/2024), 341-367.
Golden power e libertà europee: verso una restrizione delle normative sul controllo degli investimenti esteri?
Pier Giorgio Visconti
2024-01-01
Abstract
Il presente lavoro intende offrire una panoramica sull’evoluzione e l’estensione del golden power e, più in generale, sugli strumenti di screening degli investimenti esteri diretti in un’ottica interna ed europea. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad una continua estensione di tale strumento e l’atteggiamento dell’Unione europea e delle sue Istituzioni è notevolmente mutato. Da una posizione di iniziale contrasto, come noto, si è assistito ad un progressivo allineamento, culminato nel Regolamento del 2019 e nella Comunicazione del 2022 che hanno sollecitato l’istituzione di nuovi strumenti di screening per i Paesi che ne erano sprovvisti. Tutto ciò, perlomeno fino alla più recente sentenza della Corte di giustizia, resa nella causa C-106/22, sull’ambito di applicazione del Regolamento UE 2019/452. In particolare, sul rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, sollevato dalla Corte di Budapest, la Corte di giustizia ha avuto modo di ricordare agli Stati membri l’esistenza di limiti alla loro discrezionalità in materia di screening degli investimenti, al fine di tutelare le libertà fondamentali garantite dai Trattati. Si avrà modo di esaminare come eventuali restrizioni alle libertà europee debbono essere interpretate restrittivamente e possono essere giustificate unicamente da esigenze di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Non si ha modo di sapere se questa sentenza costituisca un caso isolato o se, in prospettiva futura, rappresenti un primo revirement dell’Unione nei confronti degli strumenti di screening introdotti dagli Stati membri.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.