Muovendo da una nozione di libertà modellata sulla libertas romana e intesa come ‘dovere’, Emilio Betti rifiuta radicalmente la ‘circoscritta libertà dei singoli’, in cui scorge soltanto la banale facoltà ‘di fare tutto quel che piace’. Alla ‘religione della libertà’, elaborata da Benedetto Croce, egli oppone la ‘libertà nell’ordine’, all’‘individualismo democratico’ di marca liberale la ‘solidarietà sociale’ dei ‘regimi totalitari’. Pur avendo affermato che, nello stato totalitario, libertà di pensiero e di coscienza concernano il foro interiore e non possano estrinsecarsi in manifestazioni di portata sociale, egli si appella alla ‘libertà della coscienza morale’ – la ‘libertà con la L maiuscola’ – nel momento in cui rivendica il diritto di manifestare il proprio pensiero come un’autentica ‘missione’. Nell’esprimere tale ‘solenne professione di fede’, Betti si richiama dapprima al motto spinoziano, secondo cui ‘l’uomo libero non agisce mai con dolo, ma sempre con lealtà’, mentre, nella prolusione romana del 1948 egli intende, con Montesquieu, la libertà di manifestare il proprio pensiero quale ‘potere di fare ciò che la nostra coscienza morale ci addita come dovere, e assenza di costrizione a fare ciò che la nostra coscienza riprova’.
Sperandio, M.U. (2025). Emilio Betti tra ‘libertas’ e libertà. IURIS ANTIQUI HISTORIA, XVII, 159-177 [10.19272/202531201006].
Emilio Betti tra ‘libertas’ e libertà
Marco Urbano Sperandio
2025-01-01
Abstract
Muovendo da una nozione di libertà modellata sulla libertas romana e intesa come ‘dovere’, Emilio Betti rifiuta radicalmente la ‘circoscritta libertà dei singoli’, in cui scorge soltanto la banale facoltà ‘di fare tutto quel che piace’. Alla ‘religione della libertà’, elaborata da Benedetto Croce, egli oppone la ‘libertà nell’ordine’, all’‘individualismo democratico’ di marca liberale la ‘solidarietà sociale’ dei ‘regimi totalitari’. Pur avendo affermato che, nello stato totalitario, libertà di pensiero e di coscienza concernano il foro interiore e non possano estrinsecarsi in manifestazioni di portata sociale, egli si appella alla ‘libertà della coscienza morale’ – la ‘libertà con la L maiuscola’ – nel momento in cui rivendica il diritto di manifestare il proprio pensiero come un’autentica ‘missione’. Nell’esprimere tale ‘solenne professione di fede’, Betti si richiama dapprima al motto spinoziano, secondo cui ‘l’uomo libero non agisce mai con dolo, ma sempre con lealtà’, mentre, nella prolusione romana del 1948 egli intende, con Montesquieu, la libertà di manifestare il proprio pensiero quale ‘potere di fare ciò che la nostra coscienza morale ci addita come dovere, e assenza di costrizione a fare ciò che la nostra coscienza riprova’.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


