Nelle Digital Humanities (DH) il rapporto fra tecnologia e cultura è stato finora scarsamente esplorato. La scuola italiana dell’informatica umanistica si è concentrata prevalentemente sul problema della codifica dal punto di vista teorico-metodologico, ma sempre a partire da un approccio universalista: senza negarne le influenze, ma senza nemmeno metterle a tema. Nel mio contributo illustrerò e commenterò alcuni esempi di bias culturale delle tecnologie digitali. La domanda che mi pongo è duplice: come si trasmette la cultura attraverso la tecnologia e in che misura lo strumento è esso stesso cultura? Sulla scorta delle analisi di G. Bowker e S. Leigh Star e degli esempi cercherò di mostrare come l’ossessione per lo standard, nell’ambito delle Digital Humanties, abbia non solo livellato le differenze culturali interne o esterne a un determinato paese, progetto, software, ma abbia largamente informato il mainstream della ricerca, fossilizzandolo (per esempio) sul paradigma dell’archivio. Sono convinto che se le Digital Humanties vorranno uscire dalla riserva infra-disciplinare all’interno della quale attualmente sono costrette, dovranno imparare a distinguere i confini fra scelte tecnologiche, interessi industriali e politici e bias cognitivo-culturali. Sarebbe questo il primo passo per una consapevolezza dei propri strumenti conoscitivi. Quella maturità scientifica che Pierre Bourdieu traduceva nell’espressione “sottoporre alla critica riflessiva gli strumenti con i quali si pensa la realtà”.

Fiormonte, D. (2012). Per una critica culturale delle Digital Humanities. In Dall'Informatica Umanistica alle culture digitali. In memoria di Giuseppe Gigliozzi (pp.220-241). ROMA : Casa Editrice Università La Sapienza [10.7357/DigiLab-25].

Per una critica culturale delle Digital Humanities

FIORMONTE, Domenico
2012-01-01

Abstract

Nelle Digital Humanities (DH) il rapporto fra tecnologia e cultura è stato finora scarsamente esplorato. La scuola italiana dell’informatica umanistica si è concentrata prevalentemente sul problema della codifica dal punto di vista teorico-metodologico, ma sempre a partire da un approccio universalista: senza negarne le influenze, ma senza nemmeno metterle a tema. Nel mio contributo illustrerò e commenterò alcuni esempi di bias culturale delle tecnologie digitali. La domanda che mi pongo è duplice: come si trasmette la cultura attraverso la tecnologia e in che misura lo strumento è esso stesso cultura? Sulla scorta delle analisi di G. Bowker e S. Leigh Star e degli esempi cercherò di mostrare come l’ossessione per lo standard, nell’ambito delle Digital Humanties, abbia non solo livellato le differenze culturali interne o esterne a un determinato paese, progetto, software, ma abbia largamente informato il mainstream della ricerca, fossilizzandolo (per esempio) sul paradigma dell’archivio. Sono convinto che se le Digital Humanties vorranno uscire dalla riserva infra-disciplinare all’interno della quale attualmente sono costrette, dovranno imparare a distinguere i confini fra scelte tecnologiche, interessi industriali e politici e bias cognitivo-culturali. Sarebbe questo il primo passo per una consapevolezza dei propri strumenti conoscitivi. Quella maturità scientifica che Pierre Bourdieu traduceva nell’espressione “sottoporre alla critica riflessiva gli strumenti con i quali si pensa la realtà”.
2012
978-88-95814-82-7
Fiormonte, D. (2012). Per una critica culturale delle Digital Humanities. In Dall'Informatica Umanistica alle culture digitali. In memoria di Giuseppe Gigliozzi (pp.220-241). ROMA : Casa Editrice Università La Sapienza [10.7357/DigiLab-25].
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