La ricostruzione delle fasi dei lavori che nel lungo periodo hanno interessato l’area di Civitavecchia e il suo entroterra per l’approvvigionamento di acque potabili al centro sul litorale e ai dintorni permette, attraverso lo studio delle fonti e della cartografia storica disponibili, di delineare le trasformazioni del territorio nel corso dei secoli. I sistemi di captazione e gli acquedotti possono essere a buon diritto considerati come indicatori delle diverse fasi di vitalità e di grandi investimenti che hanno segnato la millenaria storia del territorio e del porto, resti tangibili di un passato glorioso e di nuove stagioni di fortuna che hanno caratterizzato il paesaggio. Anche oggi i resti di tali strutture raccontano il rapporto instaurato fra l’uomo e l’ambiente, l’attuale capacità di valorizzazione dei beni archeologici e di conservazione dei lasciti delle civiltà precedenti. L’approvvigionamento idrico per Civitavecchia fu a lungo un problema. Il primo acquedotto noto fu voluto da Traiano per portare acque potabili alla sua villa e a Centumcellae dai Monti della Tolfa. Quando, con le invasioni barbariche, l’agro si trasformò in una plaga malsana e spopolata le strutture idrauliche caddero in rovina oppure vennero distrutte. Successivamente molto interessanti in tal senso sono gli Statuti medievali di Civitas Vetula, che certificano la grande attenzione riservata alla pulizia della città e delle fontane, anche se il grosso del rifornimento proveniva allora da pozzi, acque di fosso o di cisterna, di cattiva qualità. Dal momento in cui Civitavecchia divenne scalo pontificio furono i papi a impegnarsi ripetutamente nei lavori pubblici. L’elenco degli interventi è lungo: nel 1588, ad esempio, Sisto V fece convogliare le acque della sorgente di Rispampani e dalla Fonte di San Liborio in un fossato, riattivato nel 1632; nel 1679 venne costruita una cisterna per la Squadra, ma alla fine del XVII secolo le fontane erano nuovamente secche. Dal Seicento le fonti cartografiche storiche permettono di ripercorrere le varie fasi e i progetti destinati a portare acqua alla città. Le testimonianze più note sono la bella carta di Specchi (1695) e la dettagliata veduta di Carlo Fontana (1699), prodotte per celebrare il ripristino dell’antico condotto traianeo iniziato da Innocenzo XII e terminato da Clemente XI. Tali lavori comportarono la captazione di nuove sorgenti, che andarono in seguito ad alimentare anche la fontana del Vanvitelli fatta costruire nell’antico muraglione sul porto da Urbano VIII (1743), ma il problema del rifornimento e della qualità delle acque perdurarono fino a tutto l’Ottocento. Risale al Settecento la stampa Civitavecchia verso la metà del secolo XVIII, di Scotto, in cui si vede il tracciato degli Aquedotti Nuovi, evidenziabile successivamente nei particolari tratti dalle tavole di G.M. Cassini (1791) e di G.B. Bordiga (1820) che ne tratteggiano l’andamento riportando inoltre l’indicazione della Prima e della Seconda origine dell’acqua Trajana. Oggi i resti degli acquedotti romani si incontrano lungo le principali vie di collegamento che corrono lungo il litorale, muti e solitari testimoni di un glorioso passato che dominano la campagna circostante.
D'Ascenzo, A. (2013). Sorgenti e acquedotti elementi tangibili nella ricostruzione dell’organizzazione del territorio. Il caso di Civitavecchia. In Atti 17a Conferenza nazionale ASITA (5–7 novembre 2013, Riva del Garda) (pp.521-528). Confederazione ASITA.
Sorgenti e acquedotti elementi tangibili nella ricostruzione dell’organizzazione del territorio. Il caso di Civitavecchia
D'ASCENZO, ANNALISA
2013-01-01
Abstract
La ricostruzione delle fasi dei lavori che nel lungo periodo hanno interessato l’area di Civitavecchia e il suo entroterra per l’approvvigionamento di acque potabili al centro sul litorale e ai dintorni permette, attraverso lo studio delle fonti e della cartografia storica disponibili, di delineare le trasformazioni del territorio nel corso dei secoli. I sistemi di captazione e gli acquedotti possono essere a buon diritto considerati come indicatori delle diverse fasi di vitalità e di grandi investimenti che hanno segnato la millenaria storia del territorio e del porto, resti tangibili di un passato glorioso e di nuove stagioni di fortuna che hanno caratterizzato il paesaggio. Anche oggi i resti di tali strutture raccontano il rapporto instaurato fra l’uomo e l’ambiente, l’attuale capacità di valorizzazione dei beni archeologici e di conservazione dei lasciti delle civiltà precedenti. L’approvvigionamento idrico per Civitavecchia fu a lungo un problema. Il primo acquedotto noto fu voluto da Traiano per portare acque potabili alla sua villa e a Centumcellae dai Monti della Tolfa. Quando, con le invasioni barbariche, l’agro si trasformò in una plaga malsana e spopolata le strutture idrauliche caddero in rovina oppure vennero distrutte. Successivamente molto interessanti in tal senso sono gli Statuti medievali di Civitas Vetula, che certificano la grande attenzione riservata alla pulizia della città e delle fontane, anche se il grosso del rifornimento proveniva allora da pozzi, acque di fosso o di cisterna, di cattiva qualità. Dal momento in cui Civitavecchia divenne scalo pontificio furono i papi a impegnarsi ripetutamente nei lavori pubblici. L’elenco degli interventi è lungo: nel 1588, ad esempio, Sisto V fece convogliare le acque della sorgente di Rispampani e dalla Fonte di San Liborio in un fossato, riattivato nel 1632; nel 1679 venne costruita una cisterna per la Squadra, ma alla fine del XVII secolo le fontane erano nuovamente secche. Dal Seicento le fonti cartografiche storiche permettono di ripercorrere le varie fasi e i progetti destinati a portare acqua alla città. Le testimonianze più note sono la bella carta di Specchi (1695) e la dettagliata veduta di Carlo Fontana (1699), prodotte per celebrare il ripristino dell’antico condotto traianeo iniziato da Innocenzo XII e terminato da Clemente XI. Tali lavori comportarono la captazione di nuove sorgenti, che andarono in seguito ad alimentare anche la fontana del Vanvitelli fatta costruire nell’antico muraglione sul porto da Urbano VIII (1743), ma il problema del rifornimento e della qualità delle acque perdurarono fino a tutto l’Ottocento. Risale al Settecento la stampa Civitavecchia verso la metà del secolo XVIII, di Scotto, in cui si vede il tracciato degli Aquedotti Nuovi, evidenziabile successivamente nei particolari tratti dalle tavole di G.M. Cassini (1791) e di G.B. Bordiga (1820) che ne tratteggiano l’andamento riportando inoltre l’indicazione della Prima e della Seconda origine dell’acqua Trajana. Oggi i resti degli acquedotti romani si incontrano lungo le principali vie di collegamento che corrono lungo il litorale, muti e solitari testimoni di un glorioso passato che dominano la campagna circostante.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.