L’intervento ha come obiettivo un’antropologia critica della mediazione come segmento significativo delle politiche relative ai migranti. Una serie di condizioni di base definiscono quest’istituto come un processo di triangolazione per la risoluzione dei conflitti che parte dalla condivisione della responsabilità, assume come elemento centrale la terzietà, ovvero l’indipendenza del mediatore e la sua capacità di mobilitazione creativa di risorse, per giungere all’intesa e al rafforzamento dell’autonomia dei mediati. Oltre questa ricostruzione schematica è essenziale valutare la realtà degli attori del processo. Dal punto di vista della statualità, i cambiamenti introdotti dalla legge Bossi-Fini, disegnano un profilo di un inserimento subalterno dei migranti, in cui il “permesso di cittadinanza” è esclusivamente legato ad un lavoro di cui si predefiniscono i tratti sociali (badante). In questo ambito il terzo settore è al bivio tra costruire società o smantellare il Welfare, lo stato sociale, sostituendosi ad esso e privatizzandolo. Il mediatore è di fatto a sua volta mediato dalle agenzie, interno alle loro logiche e a quelle ambiguità, come la strumentalizzazione dei diritti umani o i paternalismi, fino al “mucciolismo amorale”. Il migrante da parte sua vive la dimensione della “doppia assenza” (A.Sayad), l’esperienza della “caduta sociale” e della negoziazione continua del suo “spazio sociale”. La mediazione acriticamente assunta dalle politiche pubbliche diviene l’elemento cardine di un bilancio critico del concetto di interculturalità, di cui da più parti si è denunciato un carattere di rimozione simbolica dei conflitti, in cui ha prevalso un “dover essere” e una lettura culturalista della complessità migratoria, interpretabile come un “fatto sociale totale”.
Pompeo, F. (2004). Quale spazio per quale mediazione. In Intercultura e Mediazione Culturale. Immigrazione e Stranieri. Riferimenti empirici e analisi concettuali” Atti del VII Congresso nazionale AISEA (pp.342-353). Roma : Associazione Italiana per le Scienze Etnoantropologiche (A.I.S.E.A.)..
Quale spazio per quale mediazione
POMPEO, FRANCESCO
2004-01-01
Abstract
L’intervento ha come obiettivo un’antropologia critica della mediazione come segmento significativo delle politiche relative ai migranti. Una serie di condizioni di base definiscono quest’istituto come un processo di triangolazione per la risoluzione dei conflitti che parte dalla condivisione della responsabilità, assume come elemento centrale la terzietà, ovvero l’indipendenza del mediatore e la sua capacità di mobilitazione creativa di risorse, per giungere all’intesa e al rafforzamento dell’autonomia dei mediati. Oltre questa ricostruzione schematica è essenziale valutare la realtà degli attori del processo. Dal punto di vista della statualità, i cambiamenti introdotti dalla legge Bossi-Fini, disegnano un profilo di un inserimento subalterno dei migranti, in cui il “permesso di cittadinanza” è esclusivamente legato ad un lavoro di cui si predefiniscono i tratti sociali (badante). In questo ambito il terzo settore è al bivio tra costruire società o smantellare il Welfare, lo stato sociale, sostituendosi ad esso e privatizzandolo. Il mediatore è di fatto a sua volta mediato dalle agenzie, interno alle loro logiche e a quelle ambiguità, come la strumentalizzazione dei diritti umani o i paternalismi, fino al “mucciolismo amorale”. Il migrante da parte sua vive la dimensione della “doppia assenza” (A.Sayad), l’esperienza della “caduta sociale” e della negoziazione continua del suo “spazio sociale”. La mediazione acriticamente assunta dalle politiche pubbliche diviene l’elemento cardine di un bilancio critico del concetto di interculturalità, di cui da più parti si è denunciato un carattere di rimozione simbolica dei conflitti, in cui ha prevalso un “dover essere” e una lettura culturalista della complessità migratoria, interpretabile come un “fatto sociale totale”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.