Dell’assassinio di Ipazia si tenta qui di ricostruire anzitutto la concatenazione dei fatti, fondandosi sulle sole fonti antiche e criticandole per sommi capi in base alla conoscenza dei diversi ambienti che le hanno prodotte, contestualizzandole sinteticamente nel loro scenario storico-sociale, sfrondando qua e là le superfetazioni ideologiche che quindici secoli di storiografia vi hanno impiantato, cercando di eludere la fatalità degli schemi dialettici — l’opposizione paganesimo-cristianesimo, ma anche l’antinomia tolleranza-intolleranza — e di evidenziare la trasversalità ai diversi fronti, o gruppi, delle categorie moderazione-integralismo e ragione-irrazionalità, o razionalismo-irrazionalismo. Ipazia non era, come lo stereotipo vorrebbe, una campionessa della ragione filosofica in contrapposizione al fideismo cristiano, ma la filosofia che praticava aveva connotati sacrali ed esoterico-rituali (se non magici, secondo l’accusa di Giovanni di Nikiu). L’ambiente dei suoi allievi e seguaci si stringeva in una rete di discrete affiliazioni e clientele e anche in queste si esplicava, come testimoniato da Sinesio, il “potere” (δυναστεία) di Ipazia. È la vasta e sotterranea alleanza ‘massonica’, da lei capeggiata ed evidentemente influente nelle scelte politiche dell’élite e degli stessi vertici amministrativi di Alessandria, che si rivela all’improvviso a Cirillo e ne provoca il subitaneo attacco di invidia (φθόνος) su cui insistono le coeve fonti cristiane (Socrate Scolastico) e pagane (Damascio, tramandato da Suida), che concordemente lo ritengono responsabile non solo del radicalizzarsi del conflitto, ma anche dell’assassinio in sé stesso. Da parte sua, Cirillo non era semplicemente un “fervente” (ἔνθερμον) settario, ma aveva una strategia politica sui generis razionale, che aveva ereditato dal suo predecessore e zio Teofilo e che si studiava di perseguire con mezzi spregiudicati e violenti, ma coerenti e tesi a un fine preciso che già Socrate Scolastico gli contesta: “erodere il potere di coloro che lo esercitavano per conto dell’imperatore” e “condizionare il potere dello stato oltre il limite consentito alla sfera sacerdotale”. A cosa poteva servire, in quest’ottica, il sacrificio di una personalità pubblica come quella di Ipazia, che non era un diretto avversario politico, e non apparteneva ad alcuna delle categorie di concorrenti confessionali del suo proselitismo armato? Volendo perseverare nella ricerca di un concreto movente dell’assassinio, si può tentare un esperimento: abbandonare la parola φθόνος, “invidia”, usata dalle fonti, o meglio tradurla con il termine “concorrenza”. Se è il pogrom di Cirillo contro gli ebrei alessandrini che porta all’escalation di violenza, quella confessionale non è l’unica concorrenza che oppone Cirillo alla comunità ebraica e ai suoi protettori ellèni stretti intorno al circolo ‘protomassonico’ di cui Ipazia è gran maestra. I cittadini ebrei erano concorrenti della comunità cristiana non solo in materia religiosa ma anche in affari: in particolare, nell’appalto del trasporto marittimo del grano da Alessandria a Costantinopoli, come attesta nel Codex Theodosianus un decreto del 390. La politica antiebraica di Cirillo e in particolare il pogrom del 414 possono essere posti in relazione con l’estensione alla chiesa cristiana di Alessandria del monopolio del trasporto marittimo del grano dall’Egitto a Costantinopoli. In particolare in un frammento papiraceo (il P. Ross. Georg. III. 6, recentemente addotto da Sarolta Takács, oggi ricongiunto con il frammento P. Hamb. IV 267) si fa menzione di un Ierace e di suo figlio Teone ναυτῶν ἐκκλησίας. La valenza di questo reperto documentario, la sua interpretazione e la sua datazione andranno approfondite. È con ogni probabilità casuale l’omonimia tra il Ierace che vi è menzionato e l’agitatore filocirilliano alle sedute dell'assemblea cittadina in teatro — nonché maestro di grammatica, che Giovanni di Nikiu descrive con ammirazione — la cui uccisione da parte degli ebrei è all’origine dell’escalation che condurrà all’assassinio di Ipazia. In mancanza di una più circostanziata documentazione prosopografica, l’emergere del suo nome tra le fibre consunte di P. Ross. Georg. III. 6 ha il valore di un’evocazione e fornisce, ben più che la possibilità di un’identificazione, il richiamo di una suggestione.
Ronchey, S. (2014). Perché Cirillo assassinò Ipazia?. In Tolleranza religiosa in età tardoantica IV-V secolo. Atti delle Giornate di studio sull'età tardoantica (Roma, 26-27 maggio 2013) (pp.135-177). Cassino : Università degli Studi di Cassino.
Perché Cirillo assassinò Ipazia?
RONCHEY, SILVIA
2014-01-01
Abstract
Dell’assassinio di Ipazia si tenta qui di ricostruire anzitutto la concatenazione dei fatti, fondandosi sulle sole fonti antiche e criticandole per sommi capi in base alla conoscenza dei diversi ambienti che le hanno prodotte, contestualizzandole sinteticamente nel loro scenario storico-sociale, sfrondando qua e là le superfetazioni ideologiche che quindici secoli di storiografia vi hanno impiantato, cercando di eludere la fatalità degli schemi dialettici — l’opposizione paganesimo-cristianesimo, ma anche l’antinomia tolleranza-intolleranza — e di evidenziare la trasversalità ai diversi fronti, o gruppi, delle categorie moderazione-integralismo e ragione-irrazionalità, o razionalismo-irrazionalismo. Ipazia non era, come lo stereotipo vorrebbe, una campionessa della ragione filosofica in contrapposizione al fideismo cristiano, ma la filosofia che praticava aveva connotati sacrali ed esoterico-rituali (se non magici, secondo l’accusa di Giovanni di Nikiu). L’ambiente dei suoi allievi e seguaci si stringeva in una rete di discrete affiliazioni e clientele e anche in queste si esplicava, come testimoniato da Sinesio, il “potere” (δυναστεία) di Ipazia. È la vasta e sotterranea alleanza ‘massonica’, da lei capeggiata ed evidentemente influente nelle scelte politiche dell’élite e degli stessi vertici amministrativi di Alessandria, che si rivela all’improvviso a Cirillo e ne provoca il subitaneo attacco di invidia (φθόνος) su cui insistono le coeve fonti cristiane (Socrate Scolastico) e pagane (Damascio, tramandato da Suida), che concordemente lo ritengono responsabile non solo del radicalizzarsi del conflitto, ma anche dell’assassinio in sé stesso. Da parte sua, Cirillo non era semplicemente un “fervente” (ἔνθερμον) settario, ma aveva una strategia politica sui generis razionale, che aveva ereditato dal suo predecessore e zio Teofilo e che si studiava di perseguire con mezzi spregiudicati e violenti, ma coerenti e tesi a un fine preciso che già Socrate Scolastico gli contesta: “erodere il potere di coloro che lo esercitavano per conto dell’imperatore” e “condizionare il potere dello stato oltre il limite consentito alla sfera sacerdotale”. A cosa poteva servire, in quest’ottica, il sacrificio di una personalità pubblica come quella di Ipazia, che non era un diretto avversario politico, e non apparteneva ad alcuna delle categorie di concorrenti confessionali del suo proselitismo armato? Volendo perseverare nella ricerca di un concreto movente dell’assassinio, si può tentare un esperimento: abbandonare la parola φθόνος, “invidia”, usata dalle fonti, o meglio tradurla con il termine “concorrenza”. Se è il pogrom di Cirillo contro gli ebrei alessandrini che porta all’escalation di violenza, quella confessionale non è l’unica concorrenza che oppone Cirillo alla comunità ebraica e ai suoi protettori ellèni stretti intorno al circolo ‘protomassonico’ di cui Ipazia è gran maestra. I cittadini ebrei erano concorrenti della comunità cristiana non solo in materia religiosa ma anche in affari: in particolare, nell’appalto del trasporto marittimo del grano da Alessandria a Costantinopoli, come attesta nel Codex Theodosianus un decreto del 390. La politica antiebraica di Cirillo e in particolare il pogrom del 414 possono essere posti in relazione con l’estensione alla chiesa cristiana di Alessandria del monopolio del trasporto marittimo del grano dall’Egitto a Costantinopoli. In particolare in un frammento papiraceo (il P. Ross. Georg. III. 6, recentemente addotto da Sarolta Takács, oggi ricongiunto con il frammento P. Hamb. IV 267) si fa menzione di un Ierace e di suo figlio Teone ναυτῶν ἐκκλησίας. La valenza di questo reperto documentario, la sua interpretazione e la sua datazione andranno approfondite. È con ogni probabilità casuale l’omonimia tra il Ierace che vi è menzionato e l’agitatore filocirilliano alle sedute dell'assemblea cittadina in teatro — nonché maestro di grammatica, che Giovanni di Nikiu descrive con ammirazione — la cui uccisione da parte degli ebrei è all’origine dell’escalation che condurrà all’assassinio di Ipazia. In mancanza di una più circostanziata documentazione prosopografica, l’emergere del suo nome tra le fibre consunte di P. Ross. Georg. III. 6 ha il valore di un’evocazione e fornisce, ben più che la possibilità di un’identificazione, il richiamo di una suggestione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.