La migrazione, intesa come fatto sociale totale, porta con sé donne e uomini con istanze e bisogni diversi e con universi di significati spaesanti. Nel paese di approdo si evidenziano processi conflittuali e microtraumi quotidiani psicofisici. Da un punto di vista psicologico e antropologico, si evidenzia come in tal modo ci si sposti da una visione del trauma come evento unico caratterizzato da ‘violenza’ per la struttura psichica e sociale a una visione del trauma come serie di eventi, ispirata al trauma cumulativo (Khan, 1979) con un approccio post-coloniale. L'intervento intende dar conto del trauma migratorio nel paese di approdo, attraverso la narrazione di un minore straniero non accompagnato (MSNA) convinto di essere vittima dei Jinn e di come tale trauma si palesi e si sviluppi attraverso tratti culturali propri del migrante. L'attenzione, per comprendere le ragioni culturali e sociali del trauma, è filtrata dal costrutto di Fanon di variabile religiosa e variabile culturale per cogliere come tale disagio nasca, si sviluppi, emerga esso stesso e faccia emergere altri tipi di sofferenze, e di come trovare le contromisure per far diminuire tali traumi nel corpo, nella psiche e nel contesto sociale. Il corpo è manifestazione del dolore perché “è il primo e il più naturale strumento dell'uomo" (Mauss, 1936) e soprattutto il corpo è il luogo antropologico per eccellenza, luogo della socializzazione e della capacità inclusiva ed esclusiva dell'uomo. Se possiamo comprendere le ragioni sociali di un disagio, possiamo, attraverso l'etnografia pubblica (Tedlock, 2005), migliorare approcci terapeutici nella relazione di cura transculturale.
Bianchi, L., Pesce, M. (2017). Disagio culturale (persi) nel Paese di approdo: MSNA relazione di cura e transculturalismo. ILLUMINAZIONI, 214-241.
Disagio culturale (persi) nel Paese di approdo: MSNA relazione di cura e transculturalismo
Bianchi L.;Pesce M.
2017-01-01
Abstract
La migrazione, intesa come fatto sociale totale, porta con sé donne e uomini con istanze e bisogni diversi e con universi di significati spaesanti. Nel paese di approdo si evidenziano processi conflittuali e microtraumi quotidiani psicofisici. Da un punto di vista psicologico e antropologico, si evidenzia come in tal modo ci si sposti da una visione del trauma come evento unico caratterizzato da ‘violenza’ per la struttura psichica e sociale a una visione del trauma come serie di eventi, ispirata al trauma cumulativo (Khan, 1979) con un approccio post-coloniale. L'intervento intende dar conto del trauma migratorio nel paese di approdo, attraverso la narrazione di un minore straniero non accompagnato (MSNA) convinto di essere vittima dei Jinn e di come tale trauma si palesi e si sviluppi attraverso tratti culturali propri del migrante. L'attenzione, per comprendere le ragioni culturali e sociali del trauma, è filtrata dal costrutto di Fanon di variabile religiosa e variabile culturale per cogliere come tale disagio nasca, si sviluppi, emerga esso stesso e faccia emergere altri tipi di sofferenze, e di come trovare le contromisure per far diminuire tali traumi nel corpo, nella psiche e nel contesto sociale. Il corpo è manifestazione del dolore perché “è il primo e il più naturale strumento dell'uomo" (Mauss, 1936) e soprattutto il corpo è il luogo antropologico per eccellenza, luogo della socializzazione e della capacità inclusiva ed esclusiva dell'uomo. Se possiamo comprendere le ragioni sociali di un disagio, possiamo, attraverso l'etnografia pubblica (Tedlock, 2005), migliorare approcci terapeutici nella relazione di cura transculturale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.