Quando, tra XII e XIV secolo sorgono i primi istituti dedicati al soccorso dell’infanzia abbandonata, quella dell’affidamento a orfanotrofi e brefotrofi diverrà una sorta di abbandono “istituzionalizzato”, una pratica socialmente accettata che determina l’allontanamento, temporaneo o definitivo, del figlio attraverso accordi, patti, contratti o convenzioni tra genitori e altri soggetti, secondo consuetudini non necessariamente codificate ma comunque vincolanti: la vendita del figlio a terzi o la cessione in pegno o in affitto come forma di pagamento di debiti, ma anche l’invio dei figli a servizio perso alte famiglie. Quella della cessione dei figli a terzi come forma di pagamento di debiti o come forza lavoro, caratterizza in parte il fenomeno migratorio anche italiano che vede bambini e bambine impiegati nelle fabbriche europee o affidati a girovaghi e saltimbanchi per il lavoro di strada. La figura del bambino italiano girovago entra nell’immaginario collettivo attraverso il racconto che ne fa Hector Malot nel suo romanzo Senza famiglia (1878), tra i primi a raccontare il destino dei bambini italiani che vivono e lavorano a Parigi nel 1850. Come accadeva nei secoli precedenti, anche la contemporanea letteratura per l’infanzia continua a narrare storie di infanzie negate che, ancora oggi, sono legate a condizioni di sfruttamento del loro lavoro e vendita a terzi come lo scandalo di milioni di bambini e bambine vittime del debito ereditario raccontato dal romanzo di Francesco D’Adamo, Storia di Iqbal (2001). Il presente contributo intende ripercorrere alcune rappresentazioni del lavoro minorile tra passato e presente, sottolineando come la letteratura si faccia, in questo caso, narrazione di un’infanzia negata.
Barsotti, S. (2023). Bambini girovaghi e piccoli lavoratori: infanzia e lavoro tra letteratura e realtà.. In Sistemi educativi, orientamento, lavoro (pp.918-921). Lecce : Pensa MultiMedia.
Bambini girovaghi e piccoli lavoratori: infanzia e lavoro tra letteratura e realtà.
Susanna Barsotti
2023-01-01
Abstract
Quando, tra XII e XIV secolo sorgono i primi istituti dedicati al soccorso dell’infanzia abbandonata, quella dell’affidamento a orfanotrofi e brefotrofi diverrà una sorta di abbandono “istituzionalizzato”, una pratica socialmente accettata che determina l’allontanamento, temporaneo o definitivo, del figlio attraverso accordi, patti, contratti o convenzioni tra genitori e altri soggetti, secondo consuetudini non necessariamente codificate ma comunque vincolanti: la vendita del figlio a terzi o la cessione in pegno o in affitto come forma di pagamento di debiti, ma anche l’invio dei figli a servizio perso alte famiglie. Quella della cessione dei figli a terzi come forma di pagamento di debiti o come forza lavoro, caratterizza in parte il fenomeno migratorio anche italiano che vede bambini e bambine impiegati nelle fabbriche europee o affidati a girovaghi e saltimbanchi per il lavoro di strada. La figura del bambino italiano girovago entra nell’immaginario collettivo attraverso il racconto che ne fa Hector Malot nel suo romanzo Senza famiglia (1878), tra i primi a raccontare il destino dei bambini italiani che vivono e lavorano a Parigi nel 1850. Come accadeva nei secoli precedenti, anche la contemporanea letteratura per l’infanzia continua a narrare storie di infanzie negate che, ancora oggi, sono legate a condizioni di sfruttamento del loro lavoro e vendita a terzi come lo scandalo di milioni di bambini e bambine vittime del debito ereditario raccontato dal romanzo di Francesco D’Adamo, Storia di Iqbal (2001). Il presente contributo intende ripercorrere alcune rappresentazioni del lavoro minorile tra passato e presente, sottolineando come la letteratura si faccia, in questo caso, narrazione di un’infanzia negata.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.