La relazione intende ricomporre le numerose immagini della danzatrice Virginia Zucchi in un collage d’archivio: pastelli e ritratti a sigillo della fama teatrale e, soprattutto, fotografie a guisa di carte de visite (oggi speciale documento iconografico del secondo Ottocento) conservati al Teatro alla Scala e in Russia. Di particolare rilievo i documenti provenienti dallo studio Bergamasco, celebre nella San Pietroburgo della cosiddetta Età d’argento caratterizzata anche dal bon ton del Teatro Mariinskij che culminerà nella cura prestata al teatro di danza e agli Annuari - nella redazione di Djagilev dal 1899 - impreziositi da raffinati disegni tratti da fotografie. Il nostro Powerpoint analizzerà le fotografie nel contesto più ampio della pittura italiana dell’Ottocento: dalle eroine antiche alle amorevoli modelle esotiche di Hayez, dalle borghesi e popolane dei settentrionali Lega, Induno e Tito, alle appassionate meridionali di Michetti e Morelli. I sapienti gesti della danzatrice avranno risonanza sugli sfondi sentimentali di Cremona, nelle pose melodrammatiche di Previati, ma soprattutto in strepitosi ritratti: un ampio catalogo di emozioni creato dai pittori che hanno tematizzato e scandito la storia d’Italia. D’altro canto anche la Zucchi - attrice par excellence per Stanislavskij - si è formata nel momento in cui i trattati di gestualità divulgavano e sistematizzavano in Europa l’arte dei cantanti e degli attori italiani. Per il pubblico, ella fissò un canone di passioni tra verismo e “Nanà-turalismo”; per Benois, ella rappresentò il fattore immutabile dell’artista italiano: l’italianità. Quasi prerogativa anagrafica o tratto antropologico nazionale: il “puntare dritto al cuore”. I sette volti si riferiscono, quindi, al repertorio della Zucchi: bellezza statuaria in Michelangelo e Rolla, Napoletana nei balli dell’Italia postunitaria (e nell’opera-balletto di Auber La Muette de Portici, più tardi filmato con Anna Pavlova nella stessa versione danzata dalla Zucchi); walkiria poco wagneriana in Sieba, bajadera e sacerdotessa di Brahma; sempre e comunque una fanciulla di gran cuore: La fille mal gardée e La Fille du Pharaon. (Immagini e trame dei balletti trasmigreranno in seguito nel cinema muto, quindi nel fotoromanzo). Grazie alle fotografie - documenti durevoli di un’arte per definizione effimera - ci accostiamo all’arte della Zucchi che ci appare still moving: sono ritratti in posa e in primo piano in cui l’espressione, il gesto, non vengono interrotti dall’apparecchio fotografico, ma quasi si prolungano, catturano l’attenzione, lasciando intravedere una fisionomia e una personalità conformi alle esigenze della recitazione nel cinema muto. Sono scattate in serie, pronte per essere sfogliate velocemente come un flip book. Zucchi ci ricorda i volti melanconici , gli occhi sgranati, le labbra dischiuse delle dive del cinema muto dove il ritmo interno sostituiva il discorso e i volti esasperavano la propria espressività per suggerire la parola assente. Un volto-pensiero, come il corpo-pensiero dei grandi attori. Un paesaggio da contemplare. Il volto, ritratto dai pittori nel corso dei secoli con sempre maggior precisione, sta per dilatarsi a dismisura sullo schermo. “Puis c’est le cinéma” (Jean Renoir).

LO IACONO, C. (In corso di stampa). IL QUADRO MANCANTE. I sette volti di Virginia Zucchi in rêverie fotografica. In Fotografia e culture visuali nel XXI secolo: la "svolta iconica" e l'Italia..

IL QUADRO MANCANTE. I sette volti di Virginia Zucchi in rêverie fotografica

LO IACONO, CONCETTA
In corso di stampa

Abstract

La relazione intende ricomporre le numerose immagini della danzatrice Virginia Zucchi in un collage d’archivio: pastelli e ritratti a sigillo della fama teatrale e, soprattutto, fotografie a guisa di carte de visite (oggi speciale documento iconografico del secondo Ottocento) conservati al Teatro alla Scala e in Russia. Di particolare rilievo i documenti provenienti dallo studio Bergamasco, celebre nella San Pietroburgo della cosiddetta Età d’argento caratterizzata anche dal bon ton del Teatro Mariinskij che culminerà nella cura prestata al teatro di danza e agli Annuari - nella redazione di Djagilev dal 1899 - impreziositi da raffinati disegni tratti da fotografie. Il nostro Powerpoint analizzerà le fotografie nel contesto più ampio della pittura italiana dell’Ottocento: dalle eroine antiche alle amorevoli modelle esotiche di Hayez, dalle borghesi e popolane dei settentrionali Lega, Induno e Tito, alle appassionate meridionali di Michetti e Morelli. I sapienti gesti della danzatrice avranno risonanza sugli sfondi sentimentali di Cremona, nelle pose melodrammatiche di Previati, ma soprattutto in strepitosi ritratti: un ampio catalogo di emozioni creato dai pittori che hanno tematizzato e scandito la storia d’Italia. D’altro canto anche la Zucchi - attrice par excellence per Stanislavskij - si è formata nel momento in cui i trattati di gestualità divulgavano e sistematizzavano in Europa l’arte dei cantanti e degli attori italiani. Per il pubblico, ella fissò un canone di passioni tra verismo e “Nanà-turalismo”; per Benois, ella rappresentò il fattore immutabile dell’artista italiano: l’italianità. Quasi prerogativa anagrafica o tratto antropologico nazionale: il “puntare dritto al cuore”. I sette volti si riferiscono, quindi, al repertorio della Zucchi: bellezza statuaria in Michelangelo e Rolla, Napoletana nei balli dell’Italia postunitaria (e nell’opera-balletto di Auber La Muette de Portici, più tardi filmato con Anna Pavlova nella stessa versione danzata dalla Zucchi); walkiria poco wagneriana in Sieba, bajadera e sacerdotessa di Brahma; sempre e comunque una fanciulla di gran cuore: La fille mal gardée e La Fille du Pharaon. (Immagini e trame dei balletti trasmigreranno in seguito nel cinema muto, quindi nel fotoromanzo). Grazie alle fotografie - documenti durevoli di un’arte per definizione effimera - ci accostiamo all’arte della Zucchi che ci appare still moving: sono ritratti in posa e in primo piano in cui l’espressione, il gesto, non vengono interrotti dall’apparecchio fotografico, ma quasi si prolungano, catturano l’attenzione, lasciando intravedere una fisionomia e una personalità conformi alle esigenze della recitazione nel cinema muto. Sono scattate in serie, pronte per essere sfogliate velocemente come un flip book. Zucchi ci ricorda i volti melanconici , gli occhi sgranati, le labbra dischiuse delle dive del cinema muto dove il ritmo interno sostituiva il discorso e i volti esasperavano la propria espressività per suggerire la parola assente. Un volto-pensiero, come il corpo-pensiero dei grandi attori. Un paesaggio da contemplare. Il volto, ritratto dai pittori nel corso dei secoli con sempre maggior precisione, sta per dilatarsi a dismisura sullo schermo. “Puis c’est le cinéma” (Jean Renoir).
In corso di stampa
LO IACONO, C. (In corso di stampa). IL QUADRO MANCANTE. I sette volti di Virginia Zucchi in rêverie fotografica. In Fotografia e culture visuali nel XXI secolo: la "svolta iconica" e l'Italia..
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11590/186588
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